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CHIERI NEL SECONDO DOPOGUERRA

Una operosa e tranquilla cittadina di provincia, con i suoi 14.804 residenti (contati nel Censimento del 1951), raggruppati intorno alla rocca medievale di San Giorgio, attorno al Duomo, alla Chiesa di S. Domenico ed all'Arco, con la vita sociale scandita dalle ricorrenze religiose e dalla fiera di San Martino, economicamente stabile grazie alle tessiture ed alle attività agricole intensamente praticate sul vasto territorio e nelle frazioni circostanti: così si presentava Chieri nel dopoguerra, solo marginalmente toccata dalle vicende della guerra stessa. Ma su questa realtà si ripercossero presto gli stravolgimenti socioeconomici ed urbanistici prodotti dalla grande crescita industriale della metropoli torinese.

Si susseguirono varie correnti migratorie: prima dalle colline e dalle campagne verso la piccola metropoli che garantiva maggiori servizi (ospedale, scuole superiori, trasporti), poi dal Veneto negli anni Cinquanta con la formazione di nuovi quartieri (Borgo Venezia, Borgo Padova), successivamente negli anni Sessanta e Settanta dal Meridione con l'occupazione delle case dismesse del centro storico e con la formazione del quartiere delle Maddalene, in tempi più recenti con il trasferimento da Torino di cittadini insofferenti della grande città, la costruzione di nuovi complessi nelle aree periferiche e di zone di villini (strada Roaschia, Cappuccini).

Nei venti anni compresi tra il 1951 ed il 1971 la popolazione raddoppiò (da 14.804 a 30.511), si dimezzarono gli addetti all'agricoltura, raddoppiarono gli addetti all'industria ed ai servizi.
Vennero potenziati i collegamenti con la grande metropoli torinese, aggiungendo alla linea ferroviaria, attiva già dalla fine dell'Ottocento, la filovia (1951) per il trasporto pubblico ed il traforo del Pino (1956) per il trasporto privato.
Il modello culturale e sociale della famiglia, tramandato dal passato, sorretto dalla religiosità predicata dai centri religiosi della città i Gesuiti, i Salesiani, i Domenicani, i Salvatoriani, le parrocchie e gli oratori, politicamente sostenuto dalla Democrazia Cristiana che dal 1946 al 1975 governò il Comune con la maggioranza assoluta, impregnava di sé anche la crescita economica: nelle campagne le aziende agricole famigliari dei coltivatori diretti, nella città le imprese artigiane che crescevano di numero e talvolta anche di dimensioni, mantenendo però sempre la struttura famigliare.
In questo contesto storico e culturale si innesta la grande crescita del tessile chierese degli anni Cinquanta e Sessanta. Certo, il tessile a Chieri aveva una lunga tradizione storica dal tardo Medioevo con l'Università del Fustagno al Tessuto Bandera dell'età moderna alle grandi tessiture dell'Ottocento ed inizio Novecento (i Gallina, i Tabasso, i Vergnano, i Fasano, i Caselli, i Guino, i Durando, i Chiara, i Tinelli, i Brunetti, ecc.);
ma la crisi economica del 1929 e la guerra avevano frenato l'espansione di questo settore, talvolta provocando la chiusura di imprese o per ragioni economiche e commerciali o per mancanza di continuità generazionale.
Negli anni Cinquanta e Sessanta quasi tre occupati su quattro (il 73,9% nel 1951, il 72,3% nel 1961) erano impiegati nel tessile in Chieri, con una crescita in senso assoluto da 2.928 unità nel '51 a 3.927 nel '61. A tale crescita contribuirono da un lato le fabbriche consolidate (tra questi i Tabasso, i Vergnano, i Gallina, i Vasino ecc.) che incrementarono la produzione e quindi i dipendenti, ma ancor più le famiglie di tanti artigiani e terzisti che, noleggiando qualche telaio da un imprenditore o acquistandone alcuni con grandi sacrifici, si mettevano in proprio o lavoravano per conto terzi coinvolgendo tutti i componenti della famiglia, senza risparmio di tempo e lavoro. Si diceva allora che in ogni famiglia di Chieri batteva un telaio.
Ma intanto il contesto socioeconomico mutava profondamente: l'agricoltura perdeva costantemente addetti, la città cresceva di abitanti grazie alle ondate migratorie che trovavano lavoro: le donne nelle tessiture chieresi, gli uomini nelle fabbriche metalmeccaniche del torinese. Ma anche in Chieri e nei dintorni si determinarono nuove opportunità: a Pessione la Martini e Rossi diventava una celebrità internazionale incrementando produzione ed occupati; le industrie dei laterizi venivano sollecitate dalla tumultuosa crescita edilizia degli anni Sessanta; altri settori si espandevano quali le lavorazioni del caffè, l'industria molitoria e i mangimifici, le cartotecniche; nel 1971 l'insediamento della ASPERA FRIGO a Riva presso Chieri costituiva una nuova occasione di occupazione nel settore metalmeccanico.
Il tessile intanto si stava ristrutturando: negli anni Settanta il mercato tirava certo meno rispetto ai due decenni precedenti ed era divenuto più esigente;
toccò in primo luogo alle imprese degli artigiani e dei terzisti ridurre il proprio ruolo: il censimento dell'Industria del 1971 contò 642 addetti, pari al 21,7%, nelle imprese artigianali, dimezzati dici anni dopo (321 addetti pari al 13,6%). Ma era il tessile nel complesso che si riduceva (2953 addetti nel 1971, 2360 nel 1981); chiudevano anche alcune imprese storiche, come la Tessitura Gallina il cui sito industriale, originariamente in periferia ma divenuto ora centrale, veniva trasformato in residenze. Le imprese produttive intanto si dislocavano tendenzialmente in zone periferiche della città in nuovi stabilimenti con impianti tecnologicamente più avanzati: questi sorgevano lungo le strade in uscita da Chieri, per Cambiano o addirittura in alcuni Comuni dei dintorni (Andezeno, Cambiano, Poirino), favoriti anche da agevolazioni fiscali.
 
IL NETWORK DEL TESSILE A CHIERI: SOLIDALE O CONFLITTUALE?
 
Un profilo generale

I protagonisti della business community del tessile a Chieri tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta costituiscono un gruppo dall’identità articolata.
Gli imprenditori tessili chieresi si distinguono innanzitutto tra autonomi e lavoratori in conto terzi (o terzisti) in base al rapporto con il mercato. Gli appartenenti all’una e all’altra categoria vantano in genere origini tecnico-operaie: non mancano i casi di provenienza da una condizione professionale di coltivatore diretto, ma prevalgono nettamente i percorsi imprenditoriali che hanno alle spalle un impiego più o meno duraturo presso un’azienda locale, cui segue la decisione di licenziarsi per mettersi in proprio. Numerosi sembrano dunque i casi di spin-off, cioè fenomeni di gemmazione imprenditoriale, talvolta favoriti dalle stesse aziende, interessate alla nascita di nuove piccole società funzionali alle proprie esigenze.
La formazione tecnico-operaia, d’altronde, non stupisce in un contesto storicamente definito da un forte imprinting tessile, radicato in antiche istituzioni come l’Università del fustagno: ed infatti la grande maggioranza degli imprenditori ha origine autoctona, salvo qualche caso di terzisti immigrati invece dal Veneto.
L’imprenditore-tipo del tessile chierese negli anni cinquanta-sessanta è dunque nato a Chieri o nei suoi dintorni ed ha alle spalle un periodo di apprendistato presso un’azienda del settore: un profilo comune ai diversi protagonisti, al di là della fase storica in cui sono emersi ed hanno operato. Tra le società attive durante il boom colpisce, infatti, la diffusa presenza di iniziative non recentissime, sorte tra le due guerre, laddove in genere i sistemi di piccole imprese che costituiscono una delle forze trainanti del miracolo economico italiano (per esempio il distretto motoristico emiliano) si articolano su aziende nate invece negli anni cinquanta.
Pur dotate di dimensioni medie piuttosto ridotte, le società tessili chieresi mostrano grandi capacità di presenza sui mercati esteri, inizialmente affrontati dagli imprenditori con spirito pionieristico, attraverso strategie decisamente empiriche fondate sulle capacità individuali, come è inevitabile in assenza di struttura commerciali consolidate: non sembra tra l’altro che l’export sia stato costruito grazie all’appoggio di reti migratorie preesistenti.
A conferma della modesta dimensione media delle imprese, le forme giuridiche prevalenti, tra gli autonomi come tra i terzisti, sono la ditta individuale e la società in nome collettivo, e solo sporadicamente si adotta la veste della società a responsabilità limitata, dell’accomandita semplice, o della società per azioni.
Di conseguenza, nettamente maggioritarie sono le imprese a carattere familiare: in genere non è però coinvolta nelle aziende l’intera famiglia allargata, ma un suo singolo ramo, che costituisce la propria società e si perpetua anella discendenza diretta.
La famiglia ha dunque un ruolo centrale nell’impresa, come dimostra anche il ruolo delle donne che andrebbe ulteriormente approfondito ma che pare rilevante: l’elemento femminile è infatti spesso depositario di un saper fare tessile o portatore di un capitale iniziale sotto forma di dote, entrambi fattori decisivi per la scelta del passaggio all’imprenditorialità.

 

I network

I network individuati dalle singole società tessili chieresi sono quasi sempre limitati alla famiglia ristretta: rare sono le relazioni d’affari con i rami collaterali della famiglia e piuttosto si tende ad accogliere qualche socio esterno, specie nelle imprese più grandi. Le diverse imprese fanno dunque capo a singoli gruppi familiari con il risultato che esse sono legate da rapporti parentali ma non imprenditoriali. Se ne ricava l’impressione di un forte individualismo e del prevalere di relazioni poco improntate alla fiducia, scarsamente collaborative, talvolta conflittuali. Il generale clima di diffidenza è legato, a quanto emerge dalle interviste, ad alcune questioni specifiche: in particolare gli imprenditori temono da una parte lo spionaggio industriale e la propensione, evidentemente diffusa, a copiare i modelli tecnici, e dall’altra la concorrenza nell’accaparramento della manodopera migliore.
Ma la mancanza di fiducia emerge anche quale tratto distintivo della relazione tra imprenditori autonomi e terzisti: la condizione di dipendenza di questi da quelli è alla base di un rapporto che viene ricordato come un rapporto di sfruttamento, vessatorio, con particolare riguardo per situazioni, come quella della misurazione delle pezze, in cui la relazione gerarchica viene fatta pesare fino ad arrivare a casi di gestione arbitraria della transazione. Ne deriva, da parte della maggior parte dei terzisti, un atteggiamento, potenzialmente più vicino a posizioni rivendicazioniste di stampo operaio, peraltro da verificare nello specifico contesto chierese.
La diffidenza è motivo ricorrente infine anche sul terreno del finanziamento dell’impresa e dell’origine dei capitali. Se numerosi intervistati dichiarano infatti di aver fatto ricorso alle banche, alcuni sottolineano le difficoltà incontrate nell’ottenere un sostegno finanziario in assenza di relazioni fiduciarie consolidate con i personaggi-chiave degli istituti locali, dimostratisi poco generosi specie nel caso di piccole imprese dalle prospettive incerte.

 

Le istituzioni intermedie

Le banche sembrano dunque aver svolto un ruolo relativamente marginale nella crescita della business community tessile chierese. Allo stesso modo, anche se l’ipotesi attende ulteriori verifiche, non pare che le attività del settore abbiano potuto contare sull’azione di istituzioni politiche e di associazioni imprenditoriali, che insieme agli istituti di credito costituiscono alcune delle principali “istituzioni intermedie”, fattori riconosciuti ormai dalla letteratura di settore come decisivi ai fini dello sviluppo dei sistemi di impresa locali.
Il ruolo della leva politica nella crescita del tessile chierese, in realtà, non è chiarissimo: alcuni degli imprenditori intervistati vantano un impegno diretto nelle file della DC e del PLI, all’interno dell’amministrazione locale. Tuttavia le cariche politiche sembrano rivestire un ruolo di rappresentanza, utile in termini di visibilità, e solo raramente sono considerate incisivo mezzo di intervento in funzione degli interessi di categoria. La Lega industriali tessili (LIT), per parte sua, risulta poco efficace nel tentativo di opporsi all’individualismo diffuso e non riesce a consolidare pratiche e forme associative di natura collegiale con obiettivi comuni, né sul versante produttivo, né sul piano commerciale, né su più generali attività di aggiornamento come i viaggi d’affari: la sua azione si limita così sostanzialmente alle consulenza per le imprese.
E la stessa processione del Corpus Domini, in cui gli associati della LIT reggono il baldacchino, è più occasione utilizzata dai grandi industriali ad uso esterno, nel rapporto con la comunità e con le istituzioni, che momento di espressione di una praticata esperienza di collaborazione.
Da valutare resta invece il ruolo dell’API e di una esperienza associativa specifica come l’Associazione dei conto terzisti.

 

Una business community poco sistemica: alle radici della crisi del tessile chierese

L’evoluzione del tessile chierese negli anni del boom, in conclusione, presenta caratteristiche in linea con le contemporanee dinamiche tipiche di tutti i settori leggeri a livello nazionale: “estensione delle reti di contoterzismo”, “specializzazione delle unità produttive su fasi specifiche del processo”, “monocoltura territoriale” (A. COLLI, I volti di Proteo. Storia della piccola impresa in Italia, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 233). E tuttavia la realtà chierese presenta alcuni innegabili tratti specifici. La business community tessile locale, infatti, non risulta in alcun modo “un sistema”, inteso come insieme di elementi che interagiscono: troppo fragili sono le relazioni tra le imprese, troppo diffusa la diffidenza e l’individualismo. Né tanto meno si può far riferimento per Chieri ad un “distretto tessile” in senso proprio, in considerazione della debolezza delle istituzioni intermedie, uno dei tratti distintivi del modello distrettuale insieme alla trame dei network imprenditoriali.
A quanto emerge dalle interviste, d’altra parte, la costruzione di alleanze di settore non appare necessaria in una fase caratterizzata da un mercato nazionale e internazionale in sensibile espansione e da costi iniziali poco rilevanti, e dunque in presenza di scarse barriere all’ingresso per chi voglia avviare un’attività imprenditoriale. L’abilità consiste semmai nella ricerca e nell’occupazione di nuove nicchie di mercato, che si traduce infatti nella grande capacità degli operatori chieresi di differenziarsi per tipologia di prodotto. In questo contesto, paradossalmente, i tessili chieresi intrecciano più spesso relazioni con uomini di altri settori, come nel caso dei prodotti per l’industria automobilistica, che tra di loro.
Alla base del successo del tessile locale negli anni del boom sono dunque elementi diversi: un saper fare tecnico di antica tradizione, grandi attitudini imprenditoriali nella conquista dei mercati esteri e nella diversificazione del prodotto in funzione dei mutamenti della domanda, scarsi costi d’avvio e alti tassi di sfruttamento della manodopera e di autosfruttamento.
E tuttavia, a metà degli anni sessanta, di fronte al mutare della congiuntura, quando il mercato smette di “tirare”, l’assenza di network e la deliberata rinuncia alla costruzione di forme di coordinamento interimprese si rivela decisiva per il declino delle attività chieresi, che inizia poco dopo il boom, in coincidenza con la più generale crisi del tessile piemontese, e si accentua negli anni settanta.
Le testimonianze indicano anche altri elementi tra le cause del crollo del tessile, più attinenti al versante produttivo: si sottolinea come solo alcune aziende abbiano saputo cogliere le occasioni offerte dalle esportazioni, come non tutti gli operatori siano riusciti a riorientare la produzione in funzione delle mutate esigenze di mercato, come alcuni imprenditori, specie i più anziani, si siano mostrati restii ad affrontare un radicale ammodernamento tecnologico degli impianti. E tuttavia la scarsa propensione verso le alleanze imprenditoriali si rivela fattore non secondario di debolezza di fronte alle nuove sfide imposte dalla concorrenza anche internazionale: ne offrono conferma indiretta le interviste secondo cui le piccole imprese chieresi sono state penalizzate da un mutamento di fase che negli anni settanta-ottanta ha reso necessario accrescere le dimensioni di impresa per sopravvivere.

 
 

Tabella 1: CHIERI nella seconda metà del Novecento: abitanti ed occupati per grandi settori

Anno

Popolazione

Agricoltura

Ind. Manifatturiere

Altro

OCCUPATI

1936

13.736

1.757

3.678

1.628

7.063

1951

14.804

1.338

6.505

1961

19.688

1.284

5.564

2.543

9.391

1971

30.511

830

7.135

4.098

12.063

1981

30.960

708

6.338

6.065

13.111

1991

31.292

480

5.981

6.792

13.253

2001

32.868

 

Fonte: Censimenti della Popolazione ISTAT: elaborazione. Mancano alcuni dati.

N. B.: nelle colonne AGRICOLTURA, INDUSTRIE MANIFATTURIERE, ALTRO, OCCUPATI in TOTALE sono indicati gli addetti residenti in Chieri, indipendentemente dalla località in cui lavorano, come rilevati dai Censimenti della Popolazione.

 

Tabella 2: IMPRESE E ADDETTI IN CHIERI NELL'INDUSTRIA

Anno

Imprese totale

Addetti totale

Imprese tessili

Addetti al tessile

%

1936

2.081

1951

355

3.957

151

2.928

73,9

1961

495

5.430

329

3.927

72,3

1971

418

4.909

206

2.953

60,1

1981

445

4.443

147

2.360

53,1

1991

2001

88

1.190

Fonte: Censimenti dell’Industria ISTAT: elaborazione. Mancano alcuni dati.

Nota: Sono riportati i dati relativi ad imprese ed addetti operanti nel territorio chierese nell’industria manifatturiera e nel tessile in specifico; la percentuale è riferita all’incidenza degli addetti del tessile rispetto al totale degli addetti alle industrie chieresi. Nell’ambito del tessile non è compresa la voce "Vestiario, abbigliamento, arredamento" riportata dall’ISTAT nei Censimenti 1951, 1961 e 1971 in quanto riferibile prevalentemente ai laboratori di sartoria ed affini, e comunque di modeste dimensioni (1951 n. addetti 87 su 57 imprese, 1961 n. addetti 63 su 33 imprese, 1971 n. addetti 94 su 30 imprese; nel 1981 l’ISTAT ha aggregato tale voce alle calzature e alla biancheria per la casa: n. addetti 194 su 63 imprese). Non sono riportati i dati relativi al 1991 perché non pubblicati nei volumi provinciali riferiti ai singoli comuni.

Tabella 3: IMPRESE TESSILI: ARTIGIANI E INDUSTRIE

ARTIGIANI

INDUSTRIE

TOTALE

Anno

Imprese

Addetti

%

Imprese

Addetti

%

Imprese

Addetti

1971

149

642

21,7

57

2.311

78,3

206

2.953

1981

92

321

12,6

57

2.039

86,4

149

2.360

Fonte: Censimenti dell’Industria ISTAT. Per i Censimenti precedenti l’ISTAT non distingueva tra imprese artigianali ed industriali.

Non sono compresi i dati relativi alla voce "Vestiario, abbigliamento, arredamento" (vedi tabella 2).

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