Le prime pagine

Dal primo capitolo di Terra matta di Vincenzo Rabito, Torino, Einaudi, 2007

Come garzonello

Questa è la bella vita che ho fatto il sotto scritto Rabito Vincenzo, nato in via Corsica a Chiaramonte Qulfe, d’allora provincia di Siraqusa, figlio di fu Salvatore e di Qurriere Salvatrice, chilassa 31 marzo 1899, e per sventura domiciliato nella via Tommaso Chiavola. La sua vita fu molta maletratata e molto travagliata e molto desprezata. Il padre morì a 40 anne e mia madre restò vedova a 38 anne, e restò vedova con 7 figlie, 4 maschele e 3 femmine, e senza penzare più alla bella vita che avesse fatto una donna con il marito, solo penzava che aveva li 7 figlie da campare e per darece ammanciare.
Il più crante di queste figlie si chiamava Ciovanni, ma Ciovanni di questa nomirosa famiglia non ni voleva sentire per niente; se antava allavorare, quelle poche solde che guadagnava non bastavino neanche per lui, e quinte quella povera di mia madre era completamente abilita. Mio padre, con quelle tempe miserabile, per potere campare 7 figlie, con il tanto lavoro, ni morì con una pormenita, per non antare arrobare e per volere camminare onestamente. Ma il Patreterno, quelle che voglino vivere onestamente, in vece di aiutarle li fa morire.
Così, il seconto di questa nomerosa famiglia era io. Ed era io, Vincenzo, che così picolo sapeva che mia madre aveva molto bisogna dai figlie, perché era senza marito. Io non la voleva sentire lamentare perché non aveva niente per darece ammanciare ai suoi figlie. I tempe erino miserabile, li nostre parente erino miserabile come noie. E quinte, non zi poteva antare avante in nesuno modo.
Quinte, io fui nato per fare una mala vita molto sacrificata e molto desprezata. Quinte, mia madre era con la stessa mintalità di mio padre, che non voleva antare arrobare per campare ai suoi figlie, e neanche mia madre voleva fare la butana, come tante famiglie che fanno tutte le porcarieie per potere sfamare ai suoi figlie, mentre mia madtre voleva antere avante onesta amente.
Io era picolo ma era pieno di coraggio, con pure che invece di antare alla scuola sono antato allavorare da 7 anne, che restaie completamente inafabeto. Quinte io, che capiva che cosa voleva dai suoi figlie mia madtre, per fare soldei mi n’antava magare allavorare lontano di Chiaramonte, bastiche io portava solde a mia madre. Perché mia madre non dormeva alla notte, perché penzava che aveva 7 figlie: che lo più crante era da 14 o 15 anne, io Vincenzo ni aveva 11 o 12 anni, e la più picola figlia ni aveva 3 mese. Quinte io solo penzava che per manciare ci volevino solde, per non morire di fame questa famiglia senza padre. Così, mia madre sempre diceva: «Menomale che c’ene Vincenzo che porta qualche lira per dare aiuto alla famiglia». E deceva sempre che quanto portava solde «mio figlio Vincenzo sempre veneva cantanto e allecro», ma quanto non portava solde «veneva arrabiato e bestimianto, perché non poteva sentire lamentare alla sua madre perché non c’era niente che manciare».
Che brutta vita che io faceva! Ciovanni neanche ci penzava, Vito era di 9 anne e magare che faceva qualche cosa faceva da sé, mia sorella aveva 7 anne e antava alla scuola, ma, con quelle miserabile tempe, il desonesto coverno non dava neanche uno centesimo per potere comperare uno quaterno, perché voleva che tutte li povere fossemo inafabeto, così io questo lo capeva. Pure, poi, il desonesto coverno che comantava non dava maie asegne, e dovemmo stare per forza non inafabeto solo, ma magare molte di fame. Ma io mi piaceva il manciare, ma mi piaceva magare di cercare il lavoro, perché era sempre pieno di coraggio e di cercare lavoro, compure che aveva auto la sventura che restaie senza padre e mia madre senza marito e i povere miei fratelle e li picole 3 sorelline restammo tutte senza quida e senza nesuno che ci comantava. Tutte comandammo e la pendola non bolleva maie.
Così, venne il mese di setembre. Io sapeva che a Vitoria era tempo di ventemmia. Una matina alle ore 2 mi alzo con 4 mieie compagne più crante di me e ci ne siammo antate a Vettoria di notte a piede. Così, alle 6 di matina, fuommo a Vittoria. Per strada, certo che avemmo manciato tanta racina perché ni l’avemmo fotuto dorante la strada. Così, a Vittoria, invece di cercare lavoro, con i mieie compagne che avevino 6 anne impiù di me, mi hanno portato al casino dove c’erino li putane, che il prezzo di queste putane era di 5 solde e io queste 5 solde non li aveva, solo che aveva il manciare per 4 ciorne, che mia madre mi aveva dato 4 pane di un chilo. E quella era la mia propietà. Quinte, li mieie compagne hanno fatto quello che ci ha piaciuto e poi amme mi hanno detto: – Vicienzo, e tu che fai,niente? Io aveva 12 anne, e certo che queste putane, per lecie, non mi dovevino fare entrare, ma secome io ci ho detto che ni aveva 18 come li mieie compagni, ebbi la fortuna di entrare pure. Così, i miei compagni hanno messo un soldo per uno e ci hanno detto a queste putane che solde io non ni aveva: – Così, se vuoi che questo fa cosa, ti deve acordare con poco solde–. Ma la putana ha detto sì. E così io, per mio conto, ebbe la crante fortuna di conoscire la prima volta li donne.