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I cavalli di Platone, ovvero del divergere e del convergere

         Per gli scrittori siciliani, raccontare la Sicilia ha significato spesso fare i conti con una storia niente affatto lineare. Dominazione dopo dominazione, questa terra è uscita lacerata, ha conosciuto il mescolarsi delle razze, il trionfo e lo sfruttamento, è morta ed è risorta, e la Storia ha finito con l’insegnare che nell’isola di Ulisse questa precarietà del destino ha illuminato i fatti e i pensieri di molteplici bagliori, per cui, quando si è cercato di capire o rinvenire una precisa identità siciliana, tutto è finito col sembrare una Babele: di linguaggi, di costumi, di mentalità, di sentimenti.

C’è chi sostiene che la Sicilia sia un continente a sé, chi si preoccupa che essa si sia come autocondannata alla diversità (ma a cosa dovrebbe assomigliare, se l’Italia e il mondo stesso al tempo di Internet e del villaggio globale non assomigliano più a niente?) e c’è chi, come Leonardo Sciascia, era convinto che fosse il contrario, che sia l’Italia ad assomigliare sempre più alla Sicilia fino a rispecchiarsi in essa, nel suo essere metafora del mondo.

Cento o infinite Sicilie: così la pensava anche Gesualdo Bufalino. Ma anche se fossero state solo due avrebbero messo in crisi qualsiasi osservatore che avrebbe visto come uno specchio non sempre rifletta l’immagine che gli si pone davanti. Il sentimento di diversità dei siciliani, a volte enfatizzato a volte fonte di commiserazione, quella consapevolezza dell’essere pirandellianamente «esclusi», Bufalino l’aveva definita «isolitudine» a marchiare un’unicità che è condanna e privilegio allo stesso tempo: è un destino di isolamento e di estraneità alla storia, ma anche il privilegio del veggente di riuscire a leggere in un granello di sabbia il destino del mondo.

La letteratura dei siciliani è anche storia di maniere diverse di essere scrittori, talvolta anche all’interno della medesima parabola letteraria di un autore: se si guarda a Luigi Pirandello come a un paradigma, ci si renderà conto di quanto il suo destino sia comune a quello di altri suoi conterranei. Quell’antinomia tra Vita e Forma che lo scrittore agrigentino non smise mai di teorizzare altro non è che la traduzione scientifica di un intimo dissidio esistenziale tra istinto e ragione.

È stato così, se vogliamo, già per Giovanni Verga, per il quale la scelta del “documento umano” di eredità naturalista rispondeva all’esigenza di assegnare ordine, scientificità, attendibilità a una Storia con cui lo scrittore sentì a un certo punto l’obbligo morale e il bisogno esistenziale di confrontarsi, ma anche alla possibilità di temperare e imbrigliare fantasie mondane e idealità tardo-risorgimentali, che, sino alla svolta verista, lo avevano ubriacato e di cui avvertì, a un certo momento, tutta la provvisorietà.

L’immagine che mi viene subito in mente, parlando di letteratura siciliana, è la stessa usata da Platone nel Fedro per descrivere l’anima: un carro guidato da un auriga e tirato da due cavalli, di cui uno riottoso e cattivo si ribella all’altro che vuole seguire le schiere degli dèi, supreme essenze ideali. L’antinomia più volte richiamata, in sede critica, a proposito degli scrittori siciliani, è tra luce e ombra, tra mito e storia, tra ragione e mistero, tra isolamento ed esibizione, tra lirismo memoriale e registrazione impersonale. E non è sempre detto che gli scrittori siciliani optino per l’una o l’altra soluzione, anzi, queste antitetiche istanze spesso coesistono: come nel caso di Vitaliano Brancati, sospeso tra slanci vitalistici e luttuose voluttà; come nel Vittorini bifronte, in cui la volontà conoscitiva e la militanza critica dell’organizzatore di cultura si coniugavano con lo slancio mitico e lirico-simbolico del narratore; o in Sciascia, così ostinatamente ancorato alle relativistiche figure del dubbio e dello scetticismo da tradurle entrambe in una sorta di fede, l’unica possibile forse.

Persino la Natura, in Sicilia, è generosa di contraddizioni che sembrano fotografare perfettamente i due estremi tra cui si dibatte la letteratura: basta viaggiare lungo la Catania-Palermo per trascorrere dallo stupore primitivo di una terra ubertosa e fertile alla desolazione di terre riarse dalla siccità, avvelenate in passato dalla malaria, addentate nei secoli dal morso dell’usura del latifondo. La critica letteraria ha assegnato a questa varietà geografica anche una funzione nell’ispirazione, ritenendo possibile, ad esempio, parlare di una letteratura della Sicilia “occidentale”, ipoteticamente più aperta alla società, e di una letteratura della Sicilia “orientale”, più attenta all’individuo e alle sue motivazioni filosofiche, dimenticando che a Catania visse Federico De Roberto, ossia il caposcuola del moderno filone storico-critico di ispirazione realistica, e ad Agrigento Luigi Pirandello rappresentò l’archetipo di tutta la moderna linea esistenziale.

In molti scrittori siciliani è possibile rinvenire tracce abbastanza evidenti di questa duplice e simultanea anima, del loro coerente trascorrere dal sentimento, l’istinto, la fantasia, il mito, il mistero, l’ideale, all’analisi, la ragione, la verità, la storia, l’evidenza, il reale. È così per Giovanni Verga, che passerà dai racconti salottieri all’epopea dei campi e del mare; per Luigi Capuana, che fu il più lucido teorico del verismo in Italia, ma anche il più eclettico dei letterati ottocenteschi, fino a suggestioni spiritiste; per De Roberto, verista imperfetto; per il Pirandello drammaturgo che dalla stagione del teatro borghese approderà alla fase mitica; per Salvatore Quasimodo del quale si riconoscono, a torto, due separate stagioni - l’ermetica e la civile – che invece hanno molto in comune; per il volontarismo fascista poi ripudiato da Vitaliano Brancati in favore di una più igienica malinconia esistenziale; per Leonardo Sciascia che, secondo Alberto Moravia, fu un illuminista alla rovescia in una traiettoria che dalla verità lo porterà al mistero, e da premesse neorealistiche (negli Zii di Sicilia) approderà al relativismo e al dubbio.

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    Sommario
   
    I cavalli di Platone, ovvero del divergere e del convergere
    Sotto il segno dei gattopardi
    Pupi e paladini  
    Il parlar d’amore
    La galassia mafiosa, ovvero: ne uccide più la penna o la lupara?
    L’invenzione della Sicilia
     
     
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